Senza un aumento significativo dell’apporto di lavoratori stranieri, per il nostro Paese (che registra il tasso di natalità più basso nell’Unione europea), i rischi sono gravi e molteplici. Un lungo, documentato articolo, comparso sull’inserto la Lettura del Corriere della Sera, ha messo in evidenza i dati dei movimenti migratori in entrata e in uscita degli ultimi vent’anni, e li ha affiancati a quelli delle nascite e delle morti (queste ultime, allo stato, sono decisamente più numerose).
La considerazione che l’autore dell’articolo ha fatto propria è quella contenuta nella recente pubblicazione delle Nazioni Unite (World Population Prospect 2022): per i prossimi decenni la sola leva sulla quale potranno contare i Paesi più sviluppati e con maggiore livello di reddito sarà appunto la leva dell’immigrazione. L’ultimo dato rilevato dall’Istat riguarda i primi dieci mesi del 2022: a fronte di un saldo naturale negativo che a fine anno potrebbe sfiorare le 400 mila persone (nascite-morti), il saldo migratorio è attivo (entrate-uscite) per 190 mila unità, che potrebbero diventare 220/240 mila a consuntivo 2022. Dunque, in attesa che gli interventi a sostegno della natalità producano risultati, sarebbe bene mettere da parte demagogia e pregiudizi, cercando di governare con intelligenz